Una trama resistente e in divenire di colore, accoglienza e condivisione.

Quest’anno, caratterizzato da un simbolico doppio 20, sembra portare già con sé un fascino particolare, un carico di significato che evoca ricorrenze, novità e cambiamenti. È di sicuro una tappa importante per il nostro Artelier, lo storico negozio della Cooperativa Samuele in via S. Marco a Trento, che quest’anno compie vent’anni, e si affaccia con grande stile a quel decennio da molti considerato il più ricco di creatività e di scoperte. E allora, nonostante la fatica e le grosse difficoltà che hanno segnato profondamente l’inizio di quest’anno, vogliamo ripartire anche da qui, provando ricucire i pezzi di strada intrapresi e ad esplorare quello che sarà. E lo facciamo guidati dalle voci di chi, oggi, se ne sta prendendo cura.

Roberta

Tu sei un po’ la memoria storica di questo luogo, come lo ricordi alla sua origine, ormai 20 anni fa? Com’è nato il negozio di Samuele? Con quali progetti, aspirazioni, obiettivi?

Ho iniziato a lavorare a Samuele quando ancora non esisteva il negozio. C’era il laboratorio del cuoio, l’idea del bar e in cantiere un laboratorio di bomboniere! Le origini del negozio, da dove Samuele ha cominciato a sfornare proprio le bomboniere, sono da ricercare negli spazi dove ora si trovano il Barnaut e la Fucina, in una mensola e una vetrina sistemate in quegli spazi!

L’obiettivo sempre vivo di migliorare e il solito entusiasmo alla Samuele, ha portato a pensare che quello spazio non fosse più sufficiente e che ci fosse il bisogno di far conoscere i progetti di Samuele anche nel cuore della città. Così, prendendo in affitto il locale di quello che era un negozio di biancheria intima…è nata la nostra vetrina sulla città! Ricordo l’ansia e l’emozione provate nel dover avviare una nuova attività: un insieme di slancio, cose da fare, domande, dubbi…sarò in grado? …mi piacerà? …sarà il posto giusto per le nostre ragazze?…come si usa una cassa? …E il rapporto con i clienti?

Ricordo poi i mobili dell’inizio, fatti di mensole di vetro montate su scaffali di metallo, con in cima un pennacchio di vetro blu stile vetro di murano (ricordo da dimenticare…). Ricordo il tavolo dove si lavorava con le corsiste, nascoste dietro grandi e alti armadi recuperati dall’ufficio. Tavolo ancora ben lontano da quegli spazi che nel tempo sono diventati quelli aperti di adesso, che i clienti possono quasi completamente condividere con noi e che hanno consentito ai nostri laboratori, soprattutto quello legato alla vendita, di realizzarsi al meglio.

Ricordo poi quella parte semi nascosta sempre piena di spighe, fiori secchi, nastri e oggetti vari – che piacevano tanto in quel periodo – assieme a tutti i pizzi e merletti! E le scatoline a fetta di torta che divertivano tanto le nostre corsiste quando si mettevano insieme per formare una torta intera! Le bomboniere erano il nostro forte i primi anni, quante ne abbiamo fatte…Era bello vedere i cesti decorati che riempivano l’ingresso del negozio e che a volte non sapevamo nemmeno dove mettere!

Quando sei arrivata, cosa ti è piaciuto da subito? Qual è stato finora il tuo ruolo nel negozio?

Il mio ruolo chiaramente è sempre stato lo stesso nel tempo, quello di operatore a fianco delle corsiste (considerate che il primo uomo lo abbiamo accolto quest’anno in negozio). Ma farlo in un negozio, ha implicato anche gestire la clientela, gli ordini, le vendite, i fornitori e tutto quello che comporta un’attività commerciale. Naturalmente non da sola, anzi, ma diciamo che io ho tenuto le fila in questi anni: ho visto cambiare tante colleghe, ogni volta da istruire da capo, ma sempre con l’entusiasmo di affrontare insieme nuove sfide!

Un ruolo che mi ha fatto piacere mi sia stato riconosciuto, soprattutto nei primi anni, è stato quello di “responsabile artistica”, legato soprattutto alle personalizzazioni che riuscivamo a proporre sugli articoli in cuoio e agli oggetti decorativi, ma anche agli allestimenti e alle vetrine.

Ci sono stati dei momenti di criticità in questi anni? Come li avete affrontati?

C’è stato un momento difficile che ha attraversato tutta la cooperativa qualche anno fa, per il quale abbiamo sofferto anche in negozio. Ricordo in quell’occasione alcuni colleghi del laboratorio del cuoio doversi cimentare nelle vendite o –  cosa non troppo apprezzata, mi pare – nella realizzazione di bomboniere!

Altri momenti di criticità ci sono stati nelle tante alternanze degli operatori, ma anche nel trovare il giusto compromesso tra l’aspetto sociale e commerciale, ad esempio nel garantire sempre al pubblico orari e servizi precisi e puntuali.  A volte anche la difficoltà di essere lontani fisicamente dalla sede della cooperativa si è fatta sentire. Ma siamo sempre riusciti a superarle tenendo ben fisso l’obiettivo generale che ci muoveva e in cui ci eravamo impegnati tutti insieme.

Un aneddoto divertente?

Episodi divertenti ce ne sono stati tanti, al momento ne ricordo uno legato alla gestione dei clienti: avevamo sbagliato l’ordine delle bomboniere per una signora, dimenticandoci di mettere nella decorazione le spighe. Dopo alcuni giri di telefonate per cercare di risolvere, la cliente telefona e qualcuno, per chiamarmi, esclama: “è la cliente delle spighe!” La donna al telefono aveva capito “delle sfighe”, così ho dovuto mettere tutta la mia pazienza per placare le sue ire, visto che pensava di aver ricevuto, che oltre al danno, anche la beffa!

Se dovessi descrivere questo spazio in una parola, quale sarebbe?

Colore e divenire.

Jamila

Quando e in che modo la tua storia si è incontrata con Artelier? Che significato ha assunto per te questo negozio?

Ho cominciato a frequentare il negozio come corsista nell’agosto 2008 e – dopo i primi anni di formazione andati a buon fine – sono stata assunta dalla cooperativa. Ero arrivata in Italia dal Togo nel 2007 e per me il negozio ha significato tantissimo: era la mia prima esperienza di lavoro in Italia. Qui ho imparato l’italiano, mettendomi in gioco con i clienti e con le colleghe del negozio che mi hanno supportata in questo percorso. Grazie ad Artelier ho anche fatto un corso di italiano per migliorare la lingua, essenziale dato il lavoro a contatto con il pubblico.

Come l’hai visto cambiare in questi anni? Cos’è cambiato?

Ricordo che fino a un certo momento lavoravamo soprattutto con le bomboniere, poi abbiamo iniziato anche a cucire i prodotti in cuoio che vendevamo in negozio. Ho notato quanto l’innovazione portata dai pellami della Sportiva abbia influito positivamente sul negozio e sulle vendite: oggi lavoriamo meno con le bomboniere, ma i prodotti in cuoio – e soprattutto quelli in pelle di riuso – sono sempre più richiesti.

E oggi, chi sono le persone che scelgono di venire in negozio e cosa cercano?

I clienti storici e affezionati, che ci conoscono da sempre, loro cercano soprattutto le novità, le nuove creazioni artigianali.
I turisti, loro apprezzano moltissimo il nostro lavoro, ancora di più quando scoprono il valore nascosto dei nostri prodotti.
E poi ci sono gli altri trentini, quelli che – nonostante i tanti anni di attività – non ci avevano mai conosciuto. Quando entrano, sono felicemente colpiti dalle cose belle che trovano, e spesso ritornano.

Nel nostro lavoro cerchiamo di soddisfare tutti, seppur nel limite – che ne è insieme anche il valore – della lavorazione artigianale.

Se dovessi descrivere questo spazio in una parola, quale sarebbe?

Accoglienza.

Francesca

Cosa caratterizza Artelier? Cosa lo rende diverso dagli altri negozi?

Artelier secondo me riassume in poco spazio la vocazione della cooperativa Samuele, è un luogo di formazione, ma allo stesso tempo di socialità e di lavoro. All’interno del nostro negozio, i corsisti imparano a rispettare le regole di un luogo di lavoro, a infrangerle per un momento di spensieratezza o di difficoltà e a metterle subito in pratica grazie al diretto contatto con il pubblico, i nostri clienti, che sono fondamentali per rendere concreti gli sforzi delle persone con cui collaboriamo.

Questo negozio è inoltre un luogo di ritrovo importante per i nostri corsisti, che – con il supporto dei volontari e delle operatrici – si misurano con le loro capacità e i loro limiti, trovando sempre una parola di conforto. Qui si mescolano culture, età e fragilità differenti, dall’alternanza scuola lavoro, ai ragazzi richiedenti asilo fino a persone prossime alla pensione: l’ambiente che si crea è ogni volta diverso e sorprendente.

Cosa ti ha fatta appassionare a questo lavoro e quale spirito hai cercato di portare qui con la tua presenza?

Sono quattro anni che lavoro da Artelier e ho scoperto che con poco si può fare tanto ed è molto soddisfacente.

Se pensi al futuro, qual è la fotografia di Artelier nel 2030? Che versione di Artelier vorresti vedere?

Auguro ad Artelier di aprirsi sempre di più al mondo, mi piacerebbe diventasse un modello da replicare e migliorare perché è un posto che fa bene a chiunque lo frequenti, magari non è sempre ordinato – cosa per la quale non mi do pace – ma è così, è il risultato di svariate personalità che con enorme impegno trovano il loro spazio, creando una trama resistente che sarà la base per la loro crescita.

Se dovessi descrivere questo spazio in una parola, quale sarebbe?

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